Pellegrino a Torino
Ci lavori. Ci vivi. Ci passeggi. E non immagini che Torino possa essere meta, vera, di pellegrinaggio, che possa avere un senso essere pellegrino a Torino.
Poi arriva l’Ostensione della Sindone e ti capita l’occasione, quella di vedere al tua città con gli occhi di chi ci arriva seguendo le vie della fede. Così son salita su un pullman della parrocchia e sono venuta a fare il pellegrino a Torino.
Il giorno inizia, come ogni pellegrinaggio che si rispetti, con la distribuzione di cappellini gialli ‘color Vaticano’ a tutti e 250 i partecipanti e con le barzellette del parroco sul pullman. Ma poi va meglio.
Prima tappa, Maria Ausiliatrice, la grande casa di tutti i Salesiani del mondo, il centro propulsivo della fede di Don Bosco. Quest’anno Valdocco (che sarebbe il primo oratorio creato da Don Bosco lì dove Torino finiva e iniziava una periferia ottocentesca dura e difficile) è in festa: si celebrano infatti i 200 anni dalla nascita di Don Bosco e la città e le colline attorno sono tutto un rincorrersi di eventi.
Per chi, come me, è nato e vive al bordo delle colline, Don Bosco è figura ‘di famiglia’. Castelnuovo Don Bosco è a un passo, in famiglia almeno una donna per ogni generazione di chiama Margherita, come la mamma di Don Bosco, e il mondo salesiano è amico e compagno da sempre. Ma non ero preparata, lo ammetto, a quello che è Valdocco. A parte gli spazi, enormi, dedicati ai ragazzi, a parte il nugolo di volontari sorridenti che portano i gruppi di pellegrini qui e là a vedere dove ha vissuto, lavorato, litigato e riso il Santo, è proprio l’aria che tira lì, in quell’angolo incastrato sotto corso Regina Margherita a sorprendere.
È un’aria luminosa e serena, giocosa nel suo allegro caos organizzato. È l’aria dei santi sociali torinesi, concreti fino al midollo sui bisogni, limpidi e cristallini sulla fede.
Secondo tappa, Cottolengo. Sta sempre sotto corso Regina Margherita la Piccola Casa della Divina Provvidenza, che di piccolo ha ben poco. Quello è il posto dove il dolore si trasforma in sorriso, dove la sofferenza viene sostituita con la dignità. E quando senti fra loro i ‘cottolenghini’ salutarsi dicendo ‘Deo Gratias’, quella frase ti suona familiare, la conosci anche se non sai perché.
È come se da lì, da quella linea immaginaria che unisce Valdocco al Cottolengo, si alzasse verso la città intera un’onda di quanto di meglio Torino sa dare: solidarietà, apertura mentale, coraggio, tolleranza.
Terza tappa, la Sindone.
Il pellegrino, si sa, è quello che fa cose con animo leggero, sostenuto dalla fede. Tipo attraversare la piazza di Porta Palazzo in 250, di cui almeno la metà bambini, tutti con i cappellini gialli, zigzagando fra i banchi per raggiungere i Giardini Reali e la coda per la Sindone. E, siccome la fortuna aiuta gli audaci, riesce nel percorso ad ostacoli a non perdersi neppure un pezzo della comitiva. Poi si arriva all’inizio del percorso che si snoda attraverso i Giardini Reali e porta al Duomo. Sulla Sindone si può dir molto e si può dir poco.
Io scelgo di dire poco.
Andate.
Vedete.
Di più non dirò.
L’Ostensione della Sindone ha avuto luogo dal 19 aprile al 24 giugno 2015 con oltre 2 milioni di pellegrini. E’ stato un momento molto importante per la città. Ricordiamo che una copia a grandezza naturale della Sindone è visibile nella sacrestia della Chiesa di San Lorenzo in Piazza Castello.